Associazione a tutela degli epatopatici e malati danneggiati.   Tel. 800 14 86 15

In materia di responsabilità medica, e sanitaria in generale, una delle prime difese che ci vediamo  opporre, alle legittime ragioni risarcitorie che sosteniamo per i malcapitati pazienti, fa riferimento alla circostanza che i sanitari avrebbero osservato, nella loro condotta, le cosiddette “linee guida”.

Ma questa argomentazione/giudiziaria, come sosteniamo da anni, non esime da responsabilità.

A volte, per attingere le erogazioni economiche previste a favore della vittime di trasfusioni di sangue infetto, capita (ma non dovrebbe) che manchi la prova documentale delle praticate emotrasfusioni giacché le strutture sanitarie, depositarie, non “rinvengono” le relative cartelle cliniche.

Come noto, la cartella clinica, in caso di danno derivante da attività medica, assume un ruolo determinante in quanto essa è il diario quotidiano sullo stato di salute del paziente e delle terapie somministrate, comprese le emotrasfusioni.

Il Tribunale Militare di Napoli, competente per tutta l’Italia meridionale, è intervenuto in materia di obbligatorietà del vaccino anti-covid e green pass.

L’occasione gli è stata data da un militare che non vaccinatosi, senza green pass, aveva clandestinamente fatto ingresso in caserma e timbrato il cartellino per prendere servizio.

Il Tribunale militare ha dichiarato apertamente di non condividere le pronunce della Consulta (che si era in precedenza pronunciata ritenendo legittimo l’obbligo alla vaccinazione e la sospensione del personale militare che non vi si sottoponeva), affrontando in radice la questione degli effetti avversi da vaccino Covid e così privando, di fatto, la logica e la funzionalità che aveva reso obbligatorio il green pass.

Con recente sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma della Legge 210/1992 che faceva decorrere il termine triennale di decadenza, per chiedere l’indennizzo a favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni, da quando l’avente diritto aveva conoscenza del “danno”.

E secondo l’interpretazione sinora imperante, il vaccinato doveva chiedere l’indennizzo entro tre anni dalla conoscenza del “danno”, inteso quale malattia collegata al vaccino.

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