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OPERATORE SANITARIO. SOSPENSIONE NON RETRIBUITA DAL LAVORO PER INADEMPIENZA DELL’OBBLIGO VACCINALE DA COVID-19. ILLEGITTIMA IN ASSENZA DELLA PREVENTIVA VERIFICA DELL’ESISTENZA DI POSIZIONE LAVORATIVA ALTERNATIVA CUI ASSEGNARLO.

Come noto, l’art. 4 del Decreto-Legge n.44 dell’1/04/2021 (entrato in vigore lo stesso 01/04/2021 e convertito, con modificazioni, dalla Legge n.76 del 28/05/2021), ha introdotto l’obbligatorietà della vaccinazione contro il Covid-19 per tutte le professioni e gli operatori del comparto sanitario, sia pubblico che privato.

Infatti, il comma 1 del predetto art.4 del D.L. n.44/2021, nel testo coordinato con la legge di conversione n.76/2021, prescrive che <<In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all'art. 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. …>>, mentre al successivo comma 2 è prevista l’esimente che <<Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita>>.

I successivi commi 3, 4 e 5 prescrivono le attività da compiersi per la verifica dell’avvenuta vaccinazione, o meno.

Infatti, il comma 3 prescrive che <<Entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmette l'elenco degli iscritti, con l'indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede. Entro il medesimo termine i datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali trasmettono l'elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, con l'indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano i medesimi dipendenti>>. Il comma 4 prescrive che <<Entro dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi di cui al comma 3, le regioni e le province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, verificano lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi. Quando dai sistemi informativi vaccinali a disposizione della regione e della provincia autonoma non risulta l'effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell'ambito della campagna vaccinale in atto, la regione o la provincia autonoma, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, segnala immediatamente all'azienda sanitaria locale di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati>>. Mentre il comma 5 prescrive che <<Ricevuta la segnalazione di cui al comma 4, l'azienda sanitaria locale di residenza invita l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione o l'omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al primo periodo, l'azienda sanitaria locale, successivamente alla scadenza del predetto termine di cinque giorni, senza ritardo, invita formalmente l'interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalità e i termini entro i quali adempiere all'obbligo di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, l'azienda sanitaria locale invita l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento all'obbligo vaccinale>>.

Il successivo comma 6 determina importanti riflessi, sul rapporto di lavoro, per qualunque operatore sanitario che non intenda assecondare l’obbligo vaccinale, recitando testualmente che <<Decorsi i termini per l'attestazione dell'adempimento dell'obbligo vaccinale di cui al comma 5, l'azienda sanitaria locale competente accerta l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza. L'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2>>.

Va subito detto che, in questi mesi, molteplici ed anche conformi sono state le pronunce rese dai Tribunali italiani (sia ordinari che amministrativi) che hanno rigettato i ricorsi proposti da quegli operatori sanitari che, sospesi dal lavoro per non essersi sottoposti all’obbligo vaccinale, chiedevano di essere reintegrati nel posto del lavoro adducendo profili di illegittimità costituzionale della norma in questione.

Epperò, dette pronunce, hanno tralasciato di esaminare un importantissimo principio sancito dal comma 8 dello stesso art.4 del D.L. n.44/2021, il quale prescrive testualmente che <<Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio>>. Solo <<Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato>>.

Di ciò, correttamente, si è avveduto recentissimamente il Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano che, con sentenza del 15 settembre scorso, ha accolto il ricorso di un’operatrice sanitaria affermando i seguenti principi di diritto:

1) proprio in virtù di quanto espressamente prescritto dal comma 8 dell’art.4 del D.L. n.44/2021, l’inadempimento all’obbligo vaccinale impone, al datore di lavoro, di adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio da SARS-CoV-2;

2) sicché, la sospensione del lavoratore senza retribuzione è l’extrema ratio, giacché vi è un preciso onere del datore di lavoro di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, allorché non prevedano contatti interpersonali con soggetti fragili o che non comportino, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2;

3) solo quando l’assegnazione a mansioni diverse non sia possibile sarà allora consentito sospendere il lavoratore (a norma del successivo comma 9, fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale, comunque, non oltre il 31/12/2021). Per il relativo periodo non saranno dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.

Nella fattispecie esaminata dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano, non risulta operata, da parte del datore di lavoro, la ricerca di un impiego (alternativo) del lavoratore od altre mansioni comunque non implicanti rischi di diffusione del contagio.

Da ciò è conseguita la pronuncia del Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano di illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuito, limitatamente alla disposta sospensione della retribuzione, con la conseguente condanna del datore di lavoro a corrispondere, alla lavoratrice, gli emolumenti, dalla data dell’intervenuta sospensione, sino all’effettiva riammissione in servizio, o sino all’adozione di legittimo provvedimento di sospensione della prestazione lavorativa, all’esito dell’esperimento della procedura di legge.

Pertanto, tutti gli operatori sanitari che, non vaccinati contro il Covid-19, si sono visti sospendere dalla loro mansione lavorativa con sospensione anche della relativa retribuzione, prestino particolare attenzione al caso in cui il loro datore di lavoro abbia, o meno, correttamente applicato la norma in esame, con la ricerca di posizione lavorativa alternativa, eventualmente anche inferiore, cui assegnare l’operatore sanitario non vaccinato, purché non implichi rischi di diffusione del contagio.

In caso contrario, potranno far valere giudizialmente le loro ragioni lavorative e retributive.

 

 

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