Come noto, questo studio, avendo impostazione multidisciplinare, ha in cura anche le ragioni di tutela di danni cagionati da trasfusioni di sangue infetto.

Nell’ultimo biennio, di questo lungo percorso, in alcune cause di questa materia, abbiamo assistito ad un particolare tentativo dell’obbligato (Ministero della Salute) per ottenere una cospicua riduzione delle somme spettanti ai danneggiati a titolo di risarcimento.

 Ha così il Ministero iniziato a sostenere che l’ammontare del danno spettante agli “eredi”, il cui calcolo parte dal momento in cui il familiare danneggiato scopre la malattia, andrebbe determinato (solo) fino alla data della morte del danneggiato. Non, come invece da noi sostenuto, e più favorevole al danneggiato, fino alla durata probabile della sua vita, interrotta dall’effetto mortale della malattia.

Abbiamo di tal guisa replicato che il principio, dedotto dal Ministero, si applicherebbe semmai solo al caso in cui la persona contagiata perisca, prima della morte naturale, per causa diversa dalla malattia (epatica) contratta a causa dell’emotrasfusione. Posto che, in questo caso, la patologia trasmessa (di solito, epatica) col contagio non avrebbe inciso sulla durata effettiva della vita del danneggiato.

Recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione ha ora fatto chiarezza accogliendo sostanzialmente il principio da noi sostenuto secondo cui il risarcimento iure successionis, agli “eredi” di persona deceduta per la malattia trasmessa con l’emotrasfusione, va calcolato sul periodo che va dalla scoperta della malattia alla durata probabile (statistica) della sua vita.

Quindi oltre la data di sua effettiva morte e fino all’epoca presumibile in cui sarebbe vissuta, secondo le statistiche ISTAT sulla durata della vita media degli individui (donne e uomini).

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